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In ricerca gli studi devono essere “replicabili”. Se io pubblico uno studio in cui affermo che dai miei esperimenti se prendo un oggetto e lo lascio, questo cade a terra con una certa velocità. Suppongo che ci sia una forza che attrae ogni oggetto verso la terra. Chiunque altro voglia farlo deve fare la stessa esperienza. Ugualmente accade in tutte le cucine nelle quali si riproduce l’esperimento fisico con cui si porta ad ebollizione l’acqua.
Nel maggio 2016 su Nature è stato pubblicato uno articolo con il titolo “1500 scienziati alzano il coperchio della riproducibilità”. L’articolo comincia così: più del 70% dei ricercatori ha cercato di riprodurre esperimenti di altri scienziati fallendo, e il 50% non sono riusciti a riprodurre i propri esperimenti. I campi sono diversi e molto significativi, i principali sono la chimica, la medicina, Terra e ambiente, fisica e ingegneria, biologia.
Questo è un articolo in italiano che discute nel dettaglio e in fondo ci sono i link agli articoli originali. http://saluteuropa.org/scoprire-la-scienza/la-scienza-crisi-ricercatori-non-sanno-piu-riprodurre-confermare-molti-degli-esperimenti-moderni/
Il messaggio che ne traggo io sopratutto dai commenti dei ricercatori coinvolti è quanto ci sia una pressione economica a produrre ricerca, per cui le università, le riviste scientifiche stesse, e l’industria non hanno molto interesse negli studi di riproducibilità.
Dei 1500 ricercatori intervistati, il 3 % non crede ci sia una crisi di riproducibilità e il 7 % non lo sa, il 38% pensa che ci sia un po’ di crisi, il 52% crede che c’è molta crisi. Sarebbe una buona idea credere a quel 3% e togliersi il pensiero.
C’è una riflessione da fare: più del 40% ritiene che il motivo sia dovuto a frodi vere e proprie, e più del 60% crede che sia dovuto alla “pressione di dover pubblicare” (per motivi di fondi alla ricerca) e per “Selective Reporting”, cioè il selezionare solo i risultati che permettono di pubblicare.