l’etimo della parola emozione è ex=fuori e movere=muovere, portare fuori. Portare fuori qualcosa di cui si sta facendo esperienza dentro. Ti imbarazzi perché ti senti al centro dell’attenzione e arrossisci, sei divertito perché hai fatto una cosa goffa e ridi, hai paura perché temi che succeda qualcosa e ti stringi, sei depresso, non te ne va bene una e il tuo corpo, la tua faccia lo esprimono ecc.
Le nostre emozioni, sono la vita della nostra mente.
Possiamo descriviamo le emozioni in due categorie: quelle piacevoli e quelle spiacevoli, quelle che ci fanno avvicinare e quelle che ci fanno allontanare.
Una cosa che ci dà un’emozione piacevole la vogliamo ripetere, regolarmente. Al contrario una cosa che ci dà un’emozione spiacevole la volgiamo evitare.
(anche se non è proprio così, perché si può cercare lo spavento, la paura, il dolore fisico, perciò guardiamo film horror, oppure combattiamo, ci tatuiamo, però questo è un altro discorso)
Navighiamo questo mondo in base a ciò che ci fa ridere, gioire, stupire, rasserenare, rilassare oppure deprimere, spaventare, arrabbiare, che ci rende malinconici.
Di ciascuno di noi si può tracciare un profilo emotivo. Cosa ci fa ridere, cosa ci fa arrabbiare, cosa ci spaventa, stupisce, deprime ecc. Possiamo provare a dire che c’è un profilo “normale” in cui il solletico fa ridere, una carezza, un abbraccio fa rasserenare, una immagine cruenta spaventa, la tristezza vista in un altro ci rattrista.
Proviamo ad immaginare un profilo emotivo non “normale”.
Potete potete ad immaginare come possa essere complicato vivere in un caos emotivo?
Potete immaginare cosa significhi per un individuo non sapere che cosa farsene di una emozione che non trova espressione chiara, oppure ha una una tale ipertrofia di un’emozione per cui ad esempio si arrabbia per cose che non fanno arrabbiare nessun altro?
Oppure avere delle emozioni che non vengono comprese e la vita diventa tutta condizionata da un sentimento di incomprensione e solitudine. Ora se parliamo di un adulto sano, che ha un ruolo nella società è un discorso, ma se parliamo di un bambino o di un adulto che non ha mai sviluppato questa congruenza delle proprie emozioni, siamo di fronte ad una situazione molto dolorosa.
Perché se questo ritardo va insieme agli altri aspetti del ritardo del neurosviluppo allora il caos fisico, neurologico, ed emotivo governa tutto. Le possibilità di crescere si riducono.
Come impariamo a capire le nostre emozioni? Quando siamo super arrabbiati o super felici o super spaventati, la fisiologia interna è la stessa. Internamente abbiamo un aumento della frequenza cardiaca, della sudorazione, del ritmo del respiro, ci “agitiamo”.
Ma come facciamo a sapere se quella sensazione è positiva, ci piace, vogliamo riviverla o è negativa e vogliamo evitarla nel futuro e per sempre? Questo è un caos emotivo. Senti qualcosa che non sai che cosa è.
Come facciamo? Lo impariamo dagli altri, a specchio. Ci specchiamo nella risposta che vediamo negli altri. Attraverso lo specchio che ci forniscono i nostri più prossimi, sviluppiamo il modo con cui navighiamo le emozioni e le organizziamo, per poi usarle come bussola della nostra esistenza.
Ricordiamolo, questa fase della crescita è la prima gerarchicamente, e procede insieme alle prime fasi dello sviluppo neurologico: controllo del capo, coordinazione occhio/testa, occhio/mani, gattonamento con lo schema crociato della deambulazione, prensilità delle mani, e così via.
Quindi quando guardiamo questi bambini o adulti in ritardo del neurosviluppo, autistici, se vogliamo avere una chance di aiutarli a crescere dobbiamo pensare a riabilitare il sistema nervoso e avere bene in mente il profilo emotivo, come si sente, cosa vive, come lo vive, come gli parliamo, come lo ascoltiamo, quanto tempo gli diamo quando gli parliamo prima che risponda.
Le emozioni si imparano a specchio, quindi la famiglia deve considerare il proprio profilo emotivo, ed essere aiutata a chiedersi e sopratutto a rispondersi: il mio corpo, la mia voce, la mia postura che emozioni trasmette.
Tutti i bambini imparano da quello che vedono non da quello che gli si dice. Quindi diventa fondamentale mostrare loro senza dirglielo, e questo vale per tutti i bambini, per quelli sani e ancor di più a quelli in difficoltà.